Omelia XVI Domenica T.O.-A

(Matteo, 13,24-43)


Ave Maria!

Una delle domande che inquietano da sempre il credente, - anche nelle vicende liete o drammatiche della Prima Alleanza -, è quella che anche noi oggi ci rivolgiamo sovente nel segreto del cuore: il Signore agisce ancora nella nostra vita, nella storia, nelle vicissitudini di questo nostro tempo così difficile, complesso, denso di incognite e paure? Si direbbe di no, almeno istintivamente. Di fatto, non solo il mondo contemporaneo è lontano da Dio, ma anche e soprattutto da quella fede cristiana che, per secoli, ha potuto godere di una stabilità, anche sociale e culturale, quale nessuna cosa sembrava poterla scalfire o metterla in discussione. Quel mondo sociale e culturale sembra definitivamente scomparso, e noi, volendo continuare a credere in Dio, ci sentiamo “orfani” smarriti e senza sicurezze, se non addirittura persone ingenue, anacronistiche, realmente fuori dalla realtà. D’altronde, ci sono oggi “religioni” più facili da tutti i punti di vista, meno impegnative e, tutto sommato, più consolanti e adatte al mondo, pluralistico e tollerante, in cui viviamo.

Eppure, era esattamente questo anche il mondo a cui Gesù rivolgeva il suo messaggio in quei lontani giorni di Galilea: i suoi ascoltatori volevano cercare Dio nello spettacolare o nel prodigioso e, per loro, risultava davvero difficile credere a Gesù quando affermava, - come nel Vangelo di oggi -, che Dio era già in azione nel mondo. Dove si poteva sentire il suo potere? Dov’erano ormai i “segni straordinari” di cui parlavano le antiche Scritture? Il roveto ardente, il passaggio nel Mar Rosso, il crollo delle mura di Gerico, le sconfitte dei nemici, e così via? E forse la parabola che più li sorprese fu quella del “granello di senape”: è il seme più piccolo di tutti, si direbbe quanto la testa di uno spillo, ma che col tempo diventa un bellissimo arbusto. In aprile, si potevano vedere stormi di cardellini che si riparavano tra i suoi rami. Così, affermava Gesù con forte convinzione, è il “Regno di Dio”. Si trova nel piccolo, nell’insignificante, ma è di sicuro all’opera là dove noi non lo vediamo. Dio è sempre là dove meno ce lo aspettiamo. In altre parole, la vita è più di quanto si vede!

Immaginiamo, allora, lo sconcerto generale di questi suoi ascoltatori. I Profeti non parlavano così. Ezechiele, ad esempio, paragonava l’azione di Dio nel mondo ad un “cedro magnifico”, piantato su di un “monte alto e imponente”, dai rami frondosi e che sarebbe servito da rifugio a tutti i volatili e uccelli del cielo. Per Gesù, invece, la metafora per dire l’azione di Dio nel mondo non è il cedro, - che fa pensare al maestoso e al grandioso -, bensì il granello di senape, che suggerisce la piccolezza di ciò che non si vede al primo sguardo. Gesù insisteva su questo! Anche a costo di scandalizzare i suoi ascoltatori che si aspettavano ben altro da Dio. Un Dio che non è mai secondo le nostre aspettative più immediate e istintive. Così ricordava ancora una scena che aveva potuto contemplare, quand’era piccolo, nel cortile di casa: sua Madre Maria, con le altre donne, si alzavano presto, alla vigilia del sabato, per lavorare il pane per tutta la settimana. E a Gesù, quella scena del vivere quotidiano, suggeriva il comportamento materno di Dio che mette il suo “lievito” nel mondo. Come ci ricorda il Libro della Sapienza, sono proprio la sua forza d’amore e il suo potere d’amore che esercita su ogni cosa a renderlo così paziente verso tutti e in attesa costante che il suo “lievito” fermenti tutta la pasta.
In questo, il Dio annunciato da Gesù è veramente unico! Non minaccia, non condanna, non fa violenza di nessun tipo: semplicemente aspetta il tempo della maturazione della semina e del conseguente raccolto. E’ la sua grande e inimmaginabile pazienza con noi che ci sconcerta e contro la quale, talvolta, quasi ci ribelliamo, volendo essere più esigenti e tassativi di Lui. Ma Dio, il Dio di Gesù, non è mai frettoloso, non incalza mai né la Chiesa né gli uomini e le donne di qualsiasi tempo storico, ed anzi – si direbbe – si prende tutto il tempo necessario.

Noi, piuttosto, siamo talmente differenti da Lui che ci riconosciamo volentieri nello zelo impaziente dei servi della parabola che, alla vista della zizzania mescolata al grano, hanno un solo desiderio: strappare subito la zizzania, intervenire subito e senza indugio, finché si è ancora in tempo di preservare il buon grano dalla rovina. Ma Gesù esclude categoricamente una scelta simile e, in apparenza, non priva del buon senso o del fascino del buon senso. Pensiamo, tra l’altro, a quei cristiani “integralisti”, così duri e intransigenti, e che non sono di sicuro sulla linea di questo insegnamento di Gesù. In realtà, il modo in cui Dio ama i suoi figli consiste nel dar loro il tempo di cui hanno bisogno, il tempo prezioso (e di autentica grazia) che Dio stesso ha inventato per condurre a sé gli esseri umani, con dolce pazienza e secondo una certa gradualità: “ Ci governi – afferma ancora il Libro della Sapienza – con molta indulgenza…hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento” (Sap 12, 18). Noi non abbiamo, infatti, altro tempo, qui sulla terra, che il tempo di Dio, quello che Egli, nella sua misericordia, ci dona per convertirci e cioè volgerci a Lui. Dopo tutto, non è così scontato, anche per noi credenti, che noi cadiamo dalla parte del grano e non della zizzania. Il credere e il non credere, in effetti, sono mescolati in noi, mentre la cosa più onesta e santa sarebbe quella di scoprire il “non credente” che è in noi, - più di quello che pensiamo -, mentre c’è da riconoscere il “credente” che è latente nel fondo di molte persone che si sono allontanate da Dio. Fa parte della salvezza, promessa da Dio, scoprire anche che la zizzania è stata seminata e prospera allegramente non soltanto tra i pagani, ma anche nella Chiesa di Cristo. Non soltanto nelle altre comunità cristiane, eretiche o scismatiche, ma anche nella nostra. Non soltanto nel campo del vicino, ma anche nel nostro, anche se accuratamente recintato e sottratto allo sguardo altrui.
Nessuno di noi sa come Dio si apra la strada nella coscienza di ogni persona. E per di più, anche se viviamo insieme e ci incontriamo giornalmente nel lavoro, nel riposo o nella vita in comune, è certa una cosa: sappiamo molto poco di quello che realmente l’altro pensa di Dio, della fede o del senso ultimo della vita. A volte neanche nelle coppie si conosce il mondo interiore dell’altro: ognuno porta nel cuore questioni, dubbi, incertezze e ricerche che non conosciamo. Allora si tratta di essere radicati in quell’amore, umile e paziente, del quale Dio ci onora, dice Gesù, e che dovremmo avere soprattutto verso noi stessi prima di essere in grado di irradiarlo negli altri. Questo amore di Dio ci chiede di imparare ad avere pazienza con noi stessi, così come Dio ce l’ha con noi, di avere pietà di noi stessi, così come Dio ha pietà di noi, e di saper approfittare del tempo che Dio osa prendersi con noi, per fare affidamento solo su di Lui! Ma tutto questo richiede il coraggio della verità su noi stessi, su ciò che siamo realmente e non come immaginiamo di essere. Che il Signore possa concederci questa grande grazia dell’amore verso di Lui e verso la verità del nostro cuore, bisognoso di misericordia. Amen.

don Carmelo Mezzasalma
San Leolino, 19 luglio 2020

 

 
 
 
 

 

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